Giovedì, 17 Gennaio 2019

CO2 e costo emissioni: forecast al 2030

Il 2018 chiude con un prezzo medio del mese di dicembre pari a 22 €/T sebbene la media prezzi dell’ultima settimana era di 25 €/T. Complici anche le incertezze sulla Brexit, i prezzi medi settimanali perdono 1 €/T la prima settimana di gennaio (24 €/T) per scendere a 22 €/T nella seconda week. Nella precedente uscita del Market report abbiamo analizzato i meccanismi attuati dall’Unione Europea per sostenere le quotazioni di CO2 e i drivers che hanno portato nel corso del 2018 a quei livelli di prezzo mai visti in precedenza. Analizziamo in questo approfondimento quali potrebbero essere i fattori incidenti sulle quotazioni CO2 future.

Lo scenario al 2030. Ci sono diverse variabili che influiscono e influiranno sull’inclinazione della curva delle quotazioni CO2.

Revisione della Riserva strategica di mercato. Dopo il voto dell'Europarlamento il Consiglio dell'Unione europea ha dato il via libera definitivo alla nuova direttiva per affrontare in modo permanente l’eccesso di offerta di quote CO2.  Dal 1° gennaio 2019 è partito tale meccanismo grazie al quale ogni anno verranno ritirati dal mercato il 24% delle quote, imputandole a riserva.  Il ritiro dei crediti eccedenti farà calare il numero complessivo di quote di CO2 disponibili sul mercato ETS, di conseguenza i prezzi del carbonio potrebbero risalire fino a 35-40 €/T nel 2020-2021. Tuttavia restano da capire alcuni punti aperti, come l’assegnazione gratuita di crediti alle industrie, l’andamento della domanda energetica nei vari Paesi. Tali variabili influiranno sull’effettiva capacità della riforma di eliminare le quote eccedenti.

Quadro per il clima al 2030. Il quadro per il clima e l’energia 2030 fissa un obiettivo decisamente ambizioso, o forse utopistico, da conseguire entro l'anno indicato: una riduzione almeno del 40% delle emissioni di gas a effetto serra (rispetto ai livelli del 1990). Per far ciò i settori interessati dal sistema di scambio di quote di emissione (ETS) dell'UE dovranno ridurre le emissioni del 43% (rispetto al 2005); i settori non interessati dall'ETS dovranno ridurre le emissioni del 30% (rispetto al 2005) e ciò dovrà essere tradotto in singoli obiettivi vincolanti nazionali per gli Stati membri. Per di più il tutto rappresenta solo uno step intermedio per conseguire l’obiettivo a lungo termine di ridurre le emissioni tra l’80% e il 95% entro il 2050 nell’Eurozona. Saranno realistici gli obiettivi e le scadenze stabilite o dovranno essere riviste?

Crescita rinnovabili. Il quadro fissato dalla Commissione europea fissa l'obiettivo vincolante di portare la quota di consumo energetico soddisfatto da fonti rinnovabili almeno al 27% entro il 2030.

Efficienza energetica. Il Consiglio europeo ha appoggiato un obiettivo indicativo in materia di risparmio energetico del 27% entro il 2030. Tale obiettivo verrà riesaminato nel 2020.

Phase out nucleare. In Germania nel 2011 sono state già chiuse 8 centrali, nel 2017 è stata bloccata la produzione del blocco B di Gundremmingen e a fine del 2019 verrà spento anche il reattore Philippsburg 2. La cancelliera Merkel ha annunciato di voler abbandonare l’energia atomica entro il 2022 e colmare il gap di produzione elettrica con le rinnovabili. Anche la Francia nel suo piano energetico ha annunciato una diminuzione dell’utilizzo del nucleare alla generazione elettrica, che passerà dal 75% al 50% al 2025 e a chiusura di 14 su 58 reattori (distribuiti su 19 centrali atomiche) entro il 2035.  Anche il Belgio ha incluso il phase out nucleare e il suo piano energetico prevede lo spegnimento dei 7 reattori entro il 2025.

Phase out carbone. Per abbandonare il carbone in Italia è stato calcolato che le energie rinnovabili dovrebbero aumentare fino al 55 % entro il 2030. Per fare questo, bisognerebbe raggiungere 5 GW di nuove installazioni all’anno, tra fotovoltaico ed eolico anche utilizzando parte del parco esistente con quasi 70 miliardi di investimenti. L’obiettivo sembra difficilmente raggiungibile. In Europa il principale produttore di carbone è la Germania che però si sta fortemente orientando sulle rinnovabili: nella prima metà del 2018 le rinnovabili in Germania hanno superato il carbone (lignite compresa) come quota sulla produzione elettrica lorda, diventando la prima fonte di energia elettrica tedesca. Il governo ha dato vita a una commissione per l’uscita da questo combustibile fossile, per gestire l’eliminazione definitiva della fonte di energia storicamente più importante.

Ciò che rende più incerto il raggiungimento degli obiettivi sulle ultime 4 variabili è l’assenza di un organo sovranazionale alla direzione e al controllo dell’avanzamento dei lavori in ciascun Paese, e il mancato stanziamento di un fondo comune a supporto del raggiungimento degli obiettivi. Inoltre poiché ogni Paese ha una condizione di partenza diversa ed è demandata ai singoli governi la scelta di modalità e mezzi, l’incertezza cresce ulteriormente soprattutto in questo momento di forte instabilità politica.

Brexit. Il Regno Unito è il secondo più grande produttore europeo di CO2, quindi è ancora più importante arrivare ad un accordo per capire la regolamentazione delle quote CO2 britanniche ed evitare il generarsi di un surplus.

In caso di "deal" Regno Unito farà parte dall'ETS UE fino al 2020. Nel 2019 si svolgeranno le aste e le assegnazioni come pianificato.

In questo caso, gli 11 milioni di permessi oggetto delle aste sospese saranno allocati con le prime utili nel corso del 2019. Al 2020 gli UK potranno negoziare un prolungamento della permanenza o dovranno chiarire come intendono gestire la questione CO2.

In caso di un "no deal"  il Regno Unito uscirà dell'EU ETS il 29 marzo 2019 e non avrà nessun obbligo di conformità CO2 per le emissioni post 2018. Non saranno emesse o ritenute valide le EUA a partire dal 2019. Sarà istituita un’imposta sul carbonio pari a 16 £/T. Che fare delle rispettive quote di emissioni di competenza? Redistribuirle tra gli altri stati membri? Sospenderne momentaneamente la disponibilità per non abbattere i prezzi della CO2? Con quali tempistiche e volumi renderle poi nuovamente disponibili per lo scambio?

 

In conclusione per capire l’impatto della CO2 sul mercato del power è necessario introdurre il concetto di switching price. Lo switching price è il prezzo del gas al quale diventa indifferente utilizzare il carbone o il gas per produrre energia. Quando i prezzi del gas sono sopra lo switching price è più conveniente utilizzare il carbone per generare energia. Al contrario, quando il prezzo del gas è al di sotto dello switching price è più conveniente l’utilizzo del gas naturale. Lo switching price è funzione dei prezzi del carbone e dei costi per emettere CO2 sostenuti da impianti di generazione sia a carbone sia a gas.

Perché è importante parlare di switching price se parliamo di CO2? Rispetto agli impianti a gas, gli impianti a carbone sono caratterizzati da una minore efficienza e da una maggiore produzione di CO2. Un aumento del costo delle quote di CO2 avrà quindi un impatto maggiore sui costi di generazione degli impianti a carbone.

 

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Comunicazioni, Approfondimenti, 2019, Gennaio 2019