Come impatterà l'assetto Eu sull'energia green?
Con il nuovo assetto dell’Europarlamento potrebbero essere intraprese direzioni diverse in materia energetica rispetto al processo di transizione verso energie più green. La guida dell’esecutivo comunitario spetta al candidato espresso dal gruppo che ha ottenuto il maggior numero di voti. E’ quindi probabile che il successore di Juncker sarà il tedesco Weber (spitzenkandidat del Ppe) o l’olandese Timmermans (S&D). Entrambi i gruppi hanno inserito nei loro manifesti elettorali un chiaro impegno per lo sviluppo sostenibile.
In quello di S&D (di cui fa parte per l’Italia il PD) si propone di “rivedere le norme fiscali europee in modo da promuovere la crescita sostenibile” e “disincentivate le emissioni di CO2 a livello comunitario secondo criteri socialmente equi, gravando sugli inquinatori e sostenendo gli investimenti nelle energie pulite e accessibili”.
Analogamente, il manifesto del Ppe (cui aderisce Forza Italia) insiste sulla leadership mondiale dell’Eu nella lotta ai cambiamenti climatici e nelle tecnologie pulite e sul rispetto degli impegni dell’accordo di Parigi, proponendo “un prezzo effettivo della CO2 grazie a un efficiente sistema di scambio delle quote di emissione e a ulteriori incentivi atti a ridurre le emissioni nelle nostre industrie e nel settore energetico”. Inoltre, i popolari spingeranno per “l’innovazione e gli investimenti in tutte le soluzioni tecnologiche per una mobilità a bassa emissione di carbonio” e per “creare una vera Unione dell’energia”.
Per Alde (cui aderisce Più Europa e Italia in Comune) occorre “realizzare l’Unione dell’energia e promuovere la R&S di tecnologie e infrastrutture a basse emissioni, la produzione di energia pulita e l’efficienza energetica”, nonché “potenziare il sistema Ets come strumento chiave di riduzione delle emissioni di gas-serra e, ove possibile, estenderlo a più settori, quali i trasporti in un modello di risalita alla fonte”. I liberaldemocratici si pongono l’obiettivo di ridurre le emissioni di CO2 del 55% al 2030 e di azzerarle entro il 2050.
Le voci fuori dal coro sono quelle dei gruppi nazionalisti di destra Enf (che vede la presenza della Lega), Efdd (che vede la presenza dei M5S) che sebbene non abbiano pubblicato manifesti elettorali sono perlopiù costituiti da partiti tradizionalmente lontani dalle tematiche ambientali.
Appare quindi poco probabile che si possa arrestare il percorso di transizione avviato. Al tempo stesso, tuttavia, non si intravede una maggioranza disposta a mettere sul piatto provvedimenti ambiziosi come un prezzo minimo dell’Ets o una carbon-tax. E il maggior peso dei nazionalisti, molti dei quali negano la pericolosità del surriscaldamento globale, potrebbe ostacolare il percorso al 2030 e la definizione di quello al 2050, che dovrebbe portare all’azzeramento netto delle emissioni di CO2.