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Mercoledì, 24 Ottobre 2018

Il punto sul petrolio e lo "shale oil miracle"

Il prezzo del greggio a metà mese oscillava vicino al livello di 82 $/b, vicino al massimo di quattro anni segnato a inizio settimana, in un clima di apprensione per la possibilità di una carenza di scorte e con gli Stati Uniti che si preparano ad applicare sanzioni contro l’Iran a partire dal 4 novembre. Secondo la CIA World Factbook i 5 Paesi con maggior riverse petrolifere sono il Venezuela, l’Arabia Saudita, il Canada, L’iran e l’Iraq.

Nella top-ten troviamo anche La Russia, la Libia e gli USA. L’imminente calo delle forniture iraniane  ha fatto schizzare per un breve periodo il prezzo del greggio, a fronte di una capacità di scorte disponibili insufficienti da parte dei Paesi Esportatori di petrolio e i membri non OPEC, che di fatto non riuscirebbero ad aumentare la produzione e compensare la diminuzione delle scorte globali. La produzione dei giganti petroliferi appare dunque traballante. Le esportazioni dall'Iran stanno crollando, la produzione del Venezuela è in caduta libera, le forniture libiche e Irachene sono vulnerabili agli attacchi delle frange politiche dissidenti, le esportazioni di petrolio saudite sono già vicine al picco degli ultimi cinque anni.

Quello che accade è che il mercato mondiale fa sempre più affidamento sullo scisto americano. L’aumento della produzione USA dimostra che le scorte della nazione restano abbondanti. Nel report della terza settima di ottobre, la Energy Information Administration ha reso noto che la produzione petrolifera USA ha raggiunto la cifra record di 11,1 milioni di barili al giorno. A giugno l'America ha prodotto il 13% del greggio globale, quasi il doppio rispetto a giugno 2008. Gli Stati Uniti oltre al petrolio convenzionale, detengono le più grandi riserve al mondo di shale oil (petrolio di scisto).  Questo petrolio non convenzionale è prodotto dai frammenti di rocce di scisto bituminoso mediante specifiche tecniche (fracking) che aumentando la permeabilità del giacimento, portano l’idrocarburo in superficie. Questa tecnica era esplosa nel 2013-2014 quando il costo del barile era salito oltre i 100$, per poi essere drasticamente ridotta in seguito al crollo dei prezzi degli anni successivi. Infatti, mentre in Arabia Saudita, in Iran e in Iraq il costo di estrazione è inferiore a 10 $ al barile, il prezzo medio di pareggio per la produzione di un barile in USA è di 46$. Se consideriamo i costi operativi, quelli di realizzazione degli impianti, le tasse, i costi di trasporto e raffinazione, i margini di guadagno per le compagnie si riducono all’osso o possono tramutarsi in perdite secche. Negli ultimi mesi, il nuovo aumento del prezzo del barile di greggio (fra i 70 e gli 80 $) e l’introduzione di tecniche di fracking sempre più perfezionate ed economiche, ha permesso una sorta di “shale miracle”.

Ma il vero problema attuale non riguarda la grandezza dei giacimenti o la quantificazione delle riserve, ma piuttosto la capacità effettiva di estrazione. E anche gli Stati Uniti di Trump evidenziano notevoli limiti: strutturali dovuti ai colli di bottiglia nell'infrastruttura dei gasdotti necessari per immettere il petrolio sul mercato, carenza di manodopera a lungo termine. Per far esplodere più petrolio dalla roccia, vengono utilizzati quantitativi vertiginosi di acqua. Per un singolo pozzo, la fratturazione idraulica (fracking) può comportare un totale di quasi 65 milioni di litri d'acqua, il volume di 25 piscine olimpioniche. Ciò crea esigenze logistiche e impatti e ambientali. Il pompaggio di acqua nelle formazioni di scisto è più economico rispetto al trasporto d’acqua ma ciò può causare piccoli terremoti. Il Colorado per esempio sta valutando dei limiti al fracking e altri stati potrebbero decidere di seguirne l'esempio. Le compagnie petrolifere internazionali hanno le dimensioni e le competenze per affrontare alcuni di questi problemi ma, nonostante miglioramenti di efficienza nell’estrazione, i costi rimangono comunque sostenuti.

Essere una superpotenza di scisto è indubbiamente un vantaggio ma non significa che l'America possa controllare il mercato petrolifero o che sia indipendente sotto il profilo energetico. L'anno scorso il paese ha importato oltre 10 milioni di barili di petrolio al giorno, pari a circa la metà del suo consumo. La capacità dell'industria dello scisto di smorzare gli shock dei prezzi del petrolio potrebbe perciò essere decisamente sopravvalutata.

 

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